E’ il caos delle “bestie di scena” di Emma Dante al Bellini dal 5 al 10 febbraio.

 

A luci accese e con gli spettatori che parlottano, si salutano e si affrettano ad accomodarsi, gli attori sono impegnati in quello che ci appare come un classico training fisico ma la rappresentazione è già iniziata e piano piano le luci si abbassano mentre in quella che sembra la ricerca smaniosa di qualcosa (di sé?), gli attori si spogliano alternativamente di ogni abito per vestire i panni più autentici, quelli che si adattano perfettamente ad ognuno: restano nudi. Non c’è una storia, né scenografia, né costumi, né personaggi, né dialoghi. La storia è il lavoro dell’attore, il lavoro dell’uomo, la scenografia sono le luci e i corpi in un insieme imperfetto e perfetto, i costumi sono la nudità di ognuno dei protagonisti, i personaggi sono le persone, i dialoghi i movimenti, gli sguardi, i versi, le urla. Un demiurgo lancia in scena oggetti e mette alla prova quelle anime inquiete che agiscono come spinte da una forza più grande, senza controllo, contro il loro volere. Corpi che si muovono, si contorcono, in una danza disordinata, che si sfiorano e poi si toccano con forza, che si spingono, che litigano senza un apparente motivo. Alla fine, vestiti lanciati in scena e ammucchiati sulle tavole a richiamare alla mente la Memoria fanno da contrasto alle membra nude; l’uomo svilito, senza protezione, carne e ossa, l’orrore. Una allegoria intensa del mondo e del dolore, della realizzazione di sé, un percorso a ritroso per decostruire e tornare, dopo avere obbedito ciecamente alle regole, grado per grado, ad essere se stessi, senza soggiacere più alle altrui volontà, decidendo di continuare ad essere nudi, veri, accettando gli sguardi su di sé senza provare più vergogna, senza doversi coprire occhi, seni o genitali. La testa alta, lo sguardo fiero.

Caterina De Filippo