“Il caso Jekyll”, da Stevenson a Rubini e Russo: la mente e le sue perversioni in scena al Bellini di Napoli

Un classico della letteratura, rivisto e proposto in tutta la sua forza e la sua perversa visione. Al Bellini di Napoli una enorme prova di vero teatro.

La figura di Henry Jakyll, studioso, professore della mente, investito dalle vicende dei propri pazienti al punto da vivere egli stesso la tragedia della doppia personalità, cosi come immaginato, descritto, consegnato alla storia dalla penna magistrale di Robert Louis Stevenson, rivive attraverso una attenta e più che mai coraggiosa rivisitazione curata da Carla Cavalluzzi e Sergio Rubini. In scena al Teatro Bellini di Napoli, nei giorni scorsi, “Il caso Jakyll”, ha riattivato, per cosi dire, nel pubblico e non solo quel trasporto emotivo e non solo nei confronti della menta e dei suoi misteriosi e spesso affascinanti tratti bui.

In scena, Sergio Rubini, Daniele Russo, Geno Diana, Roberto Salemi, Angelo Zampieri e Alessia Santalucia, diretti dallo stesso Rubini, riportano in vita le ambientazioni, i dialoghi, le visioni di una trama capace di accompagnare lo spettatore verso aspetti spesso poco considerati o, in ogni caso, quasi tenuti a distanza dalla possibile riflessione. Henry Jakyll, provato dalla professione, dal confronto che essa stessa obbliga con i misteri più inimmaginabili della mente, vive il doppio sentire, la doppia esperienza, camuffando il tutto dietro la figura dell’ambiguo e spaventoso Edward Hyde. Le indagini e la curiosità dell’avvocato Utterson, faranno emergere per intero la vicenda, tra prove concrete e ipotesi dettate da elementi spesso inconfutabili.

Dal palco, l’intera trama, trainata dalla regia audace e libera da ogni immaginabile remora didascalica emerge nella sua massima espressione. L’elaborazione di alcuni punti del racconto, inoltre, conditi da elementi che potrebbero definirsi allegorici, rispetto alla capacità di richiamare altri specifici contesti e trame, riferimenti che aggiungono un tratto assolutamente preciso, e una fruizione della trama del tutto innovativa. La scenografia, inoltre, aggiunge alla messa in scena, un tocco ulteriormente unico. Le ambientazioni, percepibili, rintracciabili attraverso lo spostamento e la gestione delle luci. La capacità di immaginare ogni luogo, ogni ambito del contesto cittadino semplicemente invertendo il punto di vista scenico.

Infine, le capacità e le abilità assolutamente eccezionali di quelli che di fatto sono i protagonisti in scena, guidati dall’eclettica verve di Daniele Russo e la presenza scenicamente posata ma dalla potenza unica di Sergio Rubini. Uno spettacolo che alla fine, rimanda, alla forza, all’essenza pura del teatro. La capacità di rivisitare in modo netto e audace, cosi come anticipato, un testo incredibilmente ricco di spunti di riflessione, dalla forza unica, già in partenza. Gli elementi riscontrabili, veri, autentici, spingono la trama verso una leggibilità ancor più potente e a tratti metaforica.  Il pubblico resta in attesa, fino all’ultimo, consapevole della bellezza e della sicurezza artistica offerta. Gli applausi, interminabili, rappresentano l’ultimo degli elementi concretamente considerabili. L’approvazione finale  di chi si rende testimone di una rappresentazione magistrale, linfa vitale per un mondo che non smette mai di incantare.