“Morte accidentale di un anarchico”di Dario Fo e Franca Rame in scena al Teatro Bellini

Il Teatro Bellini di Napoli, ospita una delle più intense e complesse opere del compianto premio Nobel Dario Fo, scritta insieme a sua moglie, Franca Rame.

Un teatro “sventrato”, quasi capovolto, per legittimare un allestimento che in qualche modo è già capace di offrire una immagine più che mai fedele alla natura stessa del testo proposto. “Morte accidentale di un anarchico”, di Dario Fo e Franca Rame, in scena in questi giorni al Teatro Bellini di Napoli rappresenta nella forma e nella sostanza, grazie alla regia accurata e personalissima di Antonio Latella, un tentativo ulteriore, necessario, verso la verità.

La platea sul palco, la scena costruita a ridosso della stessa platea. L’immagine invertita, paradossale offerta alla vista, da il senso dell’alterazione pura della realtà al fine di raggiungere un fine che si mescola con la ricerca e la necessità di una giustizia chiara in merito a uno dei fatti di cronaca che forse più di tutti ha sconvolto la pubblica opinione nel nostro paese durante i caldi anni sessanta.

Un riferimento, complessivamente appena accennato a un fatto di cronaca avvenuto negli Stati Uniti molti anni prima, e poi il salto scenico e temporale alla fine degli anni sessanta, con la vicenda che squarciò armonia e certezze di una città, Milano e di un paese intero, l’Italia, che da quel momento probabilmente non sarà più la stessa. I morti di Piazza Fontana, ben 17,  il 12 dicembre del 1969 in seguito all’esplosione che devastò l’edificio della Banca Nazionale dell’Agricoltura rappresentarono una terribile sveglia per gli italiani, un gesto terribile e drammatico, il primo importante atto terroristico dal dopoguerra. L’Italia, lanciata verso l’illusione del processo democratico ripiomba improvvisamente in un clima incerto e molto lontano dal sogno post fascista.

Qualche giorno dopo, Giuseppe Pinelli, anarchico, volerà giù da una da una delle finestre al quarto piano della questura di Milano, dopo un fermo di oltre 48 ore, quindi ben oltre i tempi considerati legali. Le prime ricostruzioni, le accuse, i processi e una verità che finora appare ancora lontana. Depistaggi, colpi di mano e un universo parallelo ben lontano dalla stessa percezione pubblica. Antonio Latella, ricostruisce il contesto attraverso una finissima ricostruzione scenica, avvalendosi delle eccezionali interpretazioni di Daniele Russo, Caterina Carpio, Annibale Pavone, Edoardo Sorgente ed Emanuele Turetta.

Uomini e pupazzi, questo offre la scena, per gran parte della stessa rappresentazione, nel tentativo, probabile di indirizzare la percezione stessa dello spettatore verso una verità alterata. L’uomo da una parte, il pupazzo dall’altro, il vero e il falso, protagonisti e vittime di ogni sorta di manipolazione. Una immagine da mostrare a proprio piacimento. La follia del protagonista, surreale, profonda, fittizia, al punto da confondere ogni apparentemente evidente linea narrativa.

La trama, prende in considerazione, attraverso una profonda ed imprevedibile enfasi puramente artistica ogni aspetto della stessa cronaca dei tempi. Le fisionomie, le storie personali degli stessi protagonisti dei drammatici fatti prendono forma attraverso lo stresso racconto scenico. La realtà, concreta, la verità che emerge è sostanzialmente il frutto di una attenta ricostruzione da parte dello stesso autore, dettata, certo, dalla convinzione, più che mai legittima del filo oscuro che all’epoca dei fatti e forse ancora oggi, tiene insieme l’intera vicenda.

Lo spettacolo, lentamente arriva alla sua conclusione, mentre in parallelo l’autentico, ipotizzato, svolgersi dei fatti emerge in tutto il suo orrore, la sua oscurità, capace di coprire e contaminare ogni aspetto minimamente legato alla verità. Cala simbolicamente il sipario, immaginario, su una messa in scena ancora più che mai attuale, esempio concreto di testo impegnato dal valore artistico praticamente inarrivabile. Antonio Latella, impone il suo stile, rispettando pienamente le parole, e lo stile unico dell’autore. Il finale coinvolge il pubblico fino alla più profonda e attenta delle riflessioni. Ognuno con la propria personalissima idea di verità. L’ultima immagine, mai banale, ha come protagonista, però, grazie alla profonda umanità di Daniele Russo, il popolo palestinese, massacrato ormai da mesi dalle folli ambizioni israeliane. Il coinvolgimento è ancor più appassionato. Mai più silenzi, mai più verità di comodo. Perchè la libertà, la vera libertà, non sia mai più un sogno da raggiungere.