Lo “Sturm und drang” di Marco Sciaccaluga, in scena al Teatro Mercadante di Napoli

Gli elementi del melodramma classico, caratterizzano il testo di Schiller, “Intrigo e Amore” (Kabale und Liebe), la cui versione italiana è di Danilo Macrì e la regia di Marco Sciaccaluga. Lo stabile di Genova presenta al Mercadante di Napoli,  una delle opere giovanili del drammaturgo tedesco, cinque atti di amore e passione, menzogna e potere, dolore e morte, un circuito infernale in cui l’alpha e l’omega sono Eros e Thanatos. L’amore sincero tra Ferdinand (Simone Toni), figlio del presidente Von Walter ( Stefano Santospago), in carica alla corte di un principe tedesco e Luise Millerin (Alice Arcuri), la figlia sedicenne di un modesto violoncellista è il perno attorno al quale ruota l’intreccio. Il padre del giovane vorrebbe fargli sposare Lady Milford (Mariangeles Torres), favorita e concubina del principe, per continuare ad esercitare il proprio potere a corte, quello stesso potere che è riuscito ad ottenere con delitti e inganni, crimini e misfatti che solo suo figlio Ferdinand ed il viscido Wurm (in tedesco verme appunto), suo segretario e leccapiedi, conoscono. I due giovani si amano intensamente e si promettono amore eterno pur sapendo che dovranno affrontare molte difficoltà poiché non è ammesso che un nobile sposi una borghese. Il presidente von Walter incarna la figura del despota egemone per eccellenza disposto a qualsiasi soluzione pur di non scendere a compromessi, intaccando sia i voleri sia i valori in cui Ferdinand crede fermamente.
Il dramma evidenzia particolarmente l’aspetto psicologico e sociologico del periodo storico, soprattutto soffermandosi sul valore e il ruolo che la religione gioca all’interno delle vite dei personaggi, mettendo in luce la differenza tra nobiltà e borghesia: la prima ormai consapevole della superficialità morale che la spiritualità crea nella concezione e nella percezione del mondo, la utilizza per sottomettere la giovane innamorata facendole giurare, in chiesa, assoluta sottomissione al complotto che il presidente e il “verme” organizzano per fare sì che l’unione tra i due amanti termini.
Ferdinand, vittima anche lui dell’inganno ordito dal padre, giunge a conclusioni affrettate e decide di avvelenare l’amata, se amata si può considerare la giovane dal momento che lui, appena scopre che probabilmente l’ha tradito, decide di avvelenarla senza uscire fuori dagli schemi patriarcali che accompagnano la società da prima di allora fino ad oggi.
Il suicidio del giovane conclude il dramma durato tre ore, rendendolo tale per eccellenza. Probabilmente un finale immaginabile, una trama che non spicca per originalità, un allestimento che lascia qualche perplessità allo spettatore che comunque non può negare l’artificiosità imponente della sceneggiatura.

 

di Alessia Avellino