Teatro, bui e attimi di apparente assenza: “A lo stesso punto” è pura poesia

Lo spettacolo parte da un concetto semplice che si sviluppa in una molteplicità di profonde ed intense riflessioni, e non solo.

L’immagine di un teatro chiuso, un teatro, luogo, condizionato dai fatti e dagli eventi che ancora oggi caratterizzano in un modo o nell’altro il nostro quotidiane. E’ il pretesto per un viaggio onirico e poetico all’interno del pianeta palco, di quel magico ed inebriante contesto che solo quei luoghi possono riprodurre. Il viaggio in questione inizia e finisce allo stesso modo, una immagine, quasi sgualcita, un luogo chiuso, per un po’dimenticato, strappato al quotidiano dei suoi fedeli seguaci. Quelle maschere, riposte per bene da qualche parte, pronte in ogni momento a prender vita ed a trafiggere sguardo, mente ed animo del pubblico, sognato, sperato finalmente, forse, vivo.

In scena, al Teatro Tram di Napoli,  Paolo Capozzo, Maurizio Picariello e Vito Scalia, meravigliosamente ispirati e presi dalla furia di mostrarsi spietatamente bravi e capaci di trasportare il pubblico nei luoghi e nei tempi di due strampalate maschere, danno vita ad una profonda e quasi toccante riflessione sull’intero contesto. Il testo, dello stesso Paolo Capozzo in scena sotto la direzione di Gianni Di Nardo, evidenzia la sentita esigenza di due maschere, sue personaggi del teatro, Prisco e Mostino di prender vita, di non restare riposti chissà dove in attesa che quella magia possa tornare a compiersi.

Quelle luci, il palco, la scena, il pretesto per tornare a vivere. Tornare a splendere, non restare soltanto dei personaggi confinati in ben precisi schemi e situazioni, ma ben altro. E cosi le due maschere prendono vita, i due personaggi tornano al palco e con un pretesto dopo l’altro provano a confrontarsi con il teatro vero. Il teatro dei grandi autori dei secoli scorsi, entrando ed uscendo da trame, personaggi e situazioni. Alla fine, con il compiersi del giorno, i due personaggi tornano al punto di partenza, condannati, forse, da una delle trame recitate. Ma la vita, la finzione anche del resto, è tutt’altro. E cosi, in una evocativa scena finale di pasoliniana memoria, le due maschere chiudono gli occhi, calano il capo ed attendono d’esser ritoccate dalla magia insolita e sconosciuta del teatro.

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Gli ultimi istanti vanno al pensiero, al ricordo, al tentativo di liberarsi dalla maschera, di uscire da quel ruolo, da quei solchi calpestati più e più volte, alla ricerca poi chissà di cosa. Il ricordo, il pensiero e la certezza che il domani ancora ci sarà, e sarà vivo. In scena, per le maschere, per quei luoghi e per chi ancora una volta sarà a li a battere convinto le proprie mani, in senso di rispetto ed approvazione.