Toni Servilllo incanta e interroga con “Tre modi per non morire”, in scena al Teatro Bellini di Napoli

Dopo l’enorme successo di pubblico della scorsa stagione, torna in scena al Teatro Bellini di Napoli dal 19 al 23 dicembre lo spettacolo “Tre modi per non morire” dello scrittore ed intellettuale napoletano Giuseppe Montesano, interpretato da un magistrale Toni Servillo.

Con “Tre modi per non morire”, Montesano vuole prenderci per mano per riportarci alle origini, ai tempi in cui l’arte e la cultura erano nutrimenti veri del corpo e della mente, e lo fa attraverso l’analisi di tre distinti testi: “Monsieur Baudelaire, quando finirà la notte?”, “Le voci di Dante” e “Il fuoco sapiente”.
A luci ancora accese entra in scena Toni Servillo che inizia a percorrere quelle strade che furono di Charles Baudelaire, il giovane poeta ribelle della Parigi di metà ottocento; del Sommo poeta Dante Alighieri, che nella sua Divina Commedia cantò di uomini e spirito; e dei famosi filosofi e poeti greci che rappresentarono l’umanità presentandola al futuro.

Il palco è spoglio e contro il nero della scena si erge soltanto un leggio. Servillo fa vibrare le parole di Montesano scegliendo con attenzione la sua messa in scena: niente palco, scene o fondali, ma lui da solo
con un microfono e un testo. La corporeità, l’espressività, la voce, la personalità. I tre registri di recitazione scelti per ciascun momento sono diversi per tono e ritmo, ma anche per colore e per sottofondo musicale: il tono eccitato, severo e cupo delle oppiacee atmosfere baudelairiane che al tempo stesso annebbiano i sensi e li abbandonano alla passione; il tono drammatico e meditativo di Dante che avanza nel buio di un’infernale ricerca della luce paradisiaca; ed, infine il tono ironico e vivace dei greci antichi, che nella loro rappresentazione teatrale sublimavano la realtà, qualunque essa fosse.

L’arte di Servillo sta tutta qui, nel riuscire a valorizzare il testo non perdendo mai di vista l’intensità e il
sentimento e mantenendo un profondo coinvolgimento: come l’allontanarsi fisicamente dopo aver parlato, verso uno schermo fatto di sola luce e dando l’opportunità al suo pubblico di riflettere sul significato di quanto appena detto, riuscendo a mantenere un’atmosfera carica di intensità e significato.
La prima parte dello spettacolo si apre con una conversazione intima e dolorosa dell’autore che si rivolge
direttamente al poeta parigino.

Lo interroga su ciò che siamo diventati, su come la poesia si sia persa nella corrosione del tempo, costruendo pericolosi parallelismi all’interno dei quali soltanto la vera poesia può trasformare la depressione più oscura in pura conoscenza. Di qui, la prima soluzione alla paralisi del
pensiero: ripristinare il potere dell’immaginazione. La seconda parte spalanca, quindi, le porte al Dante della Divina Commedia.

Sulla scia della critica mossa agli schiavi dei social e del progresso a tutti i costi, l’autore utilizza la becera descrizione fatta da Dante per gli ignavi che abitano il suo Inferno: come gli ignavi danteschi rifiutavano di prendere posizione, di schierarsi da una parte o dall’altra, così gli ignavi contemporanei si lasciano sedurre dalla paura di vivere, dalla mancanza di coraggio e dalla sua misera esternazione che avviene soltanto dietro a uno schermo luminoso.

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Ma nonostante l’inferno dantesco sia popolato da ogni sorta di feccia, l’autore ci ricorda che vi sono anche dei miracoli: Paolo e Francesca, ad esempio, che caddero innamorati grazie a una storia d’amore e che, nonostante abbiano peccato e tradito, lo hanno fatto in nome della poesia e dell’Eros – non dell’amore verso Dio, ma dell’amore verso l’amore. La seconda soluzione alla paralisi del pensiero è, dunque, quella di abbandonarsi ai sentimenti e al puro piacere.

Nella terza ed ultima parte di questo viaggio incontriamo gli antichi Greci, quel saggio popolo che si nutriva di bellezza e di teatro come ci si nutre del pane quotidiano. In questa fase vengono ripresi i due temi precedenti, l’immaginazione e la poesia. Un’immaginazione attiva, che vede con gli occhi della mente e che nel teatro si sublimava per diventare vita e verità: i Greci attraverso di esso riuscivano a rappresentare la realtà, i loro sogni e i loro incubi, imparavano a conoscere il mondo, ma soprattutto imparavano a conoscere sé stessi, acquisivano la libertà di pensiero e il lusso di poterne discutere.

Ed ecco che veniamo invitati a riflettere e ad interrogarci sulla nostra di vita, sui nostri mostri interiori e sul reale tentativo di provare ad uscirne puliti e purificati. La terza soluzione così proposta è la metamorfosi. Attraverso la voce di Toni Servillo, i vari Charles Baudelaire, Dante Alighieri e gli antichi Greci hanno preso vita.

Attraverso la modulazione del tono della sua voce e gli intermezzi musicali, il narratore e Baudelaire
hanno dialogato realmente, Dante ci ha ricordato quanto gravi siano i peccati degli ignavi e, con una meravigliosa interpretazione dell’ultima parte del testo, quella dedicata ai Greci, impreziosita da incursioni dialettali napoletane, anche l’antico popolo sembra essere risorto.

“Tre modi per non morire” è a tutti gli effetti un’invettiva alla società di oggi, persa nei suoi fantasmi elettronici, rinchiusa nella caverna delle ombre dove «noi stessi siamo le nostre catene, incapaci di staccare gli occhi dallo schermo menzognero e rassegnati a non aver scampo». È un invito al risveglio, alla presa di coscienza. È un viaggio che vuole essere un antidoto alla paralisi del pensiero, alla non-vita che tenta di inglobarci.

Un campanello d’allarme su dove stia andando a sprofondare la società intera. A meno che qualcuno non riesca ad accendere una luce, una speranza, un invito, un augurio rivolto soprattutto ai giovani per tornare ad essere umani, per tornare a immaginare e a sentirci davvero liberi, anche nel caos della vita. Uno spettacolo che ha la capacità di scuotere gli animi, durante il quale ci si può ritrovare in uno stato di confusione e di straniamento: siamo davvero diventati così estranei alla verità? Siamo davvero diventati così ottusi da non capire che non viviamo, ma sopravviviamo?

Giuseppe Schioppa