Inshalom (o l’assurda partita) di Maurizio D. Capuano al “Piccolo Bellini” di Napoli
Un conflitto, una storia, tutto e il suo contrario in una attenta, tragica e comica rilettura di una realtà vittima essa stessa dell’estrema e spesso manipolata opinione.
Un conflitto che divide, spesso inutilmente. Posizioni estreme, figlie di dinamiche internazionali che spingono verso il posizionamento della pubblica opinione da una parte o dall’altra. Al centro, quella che è poi di fatto la verità, quelle che al di la delle bandiere sono le reali vittime. La tragedia che non può ridursi soltanto ad esclusiva posizione politica, ma può e deve essere lo specchio di un qualcosa che merita una volta per tutto di vedere all’orizzonte la parola fine. Maurizio D. Capuano offre al pubblico una intensa e cruda riflessione. Inshalom (o l’assurda partita), in scena al Teatro Piccolo Bellini di Napoli fino al 23 gennaio prova, in tempi in cui il conflitto israelo-palestinese raggiunge forse il suo picco di disumanità ad offrire un nuovo spunto, un nuovo racconto, tragico, comico, allegorico, capace di svegliare, o risvegliare, una coscienza spesso sepolta da infiniti elementi, più o meno ragionevoli.
“Ci sono un palestinese, un israeliano e un americano. Si ride, ma non è una barzelletta”, queste le parole dello stesso Capuano, autore, regista, attore, di “Inshalom”, utilizzate per l’introduzione alla stessa messa in scena. Un palestinese, un israeliano, un americano, protagonisti di una grottesca vicenda ambientata in un luogo che potrebbe essere paragonato ad un gran pallottoliere che tiene conto delle vittime, da una parte e dall’altra. Due fazioni opposte, una linea di confine e un arbitro, spesso, troppo spesso non imparziale.
In scena, oltre al già citato Capuano, Giuseppe Brandi, Emanuele Di Simone, Carmen Del Giudice, Francesco Petrillo e Silvia Brandi, introducono un contesto troppe volte citato e minuziosamente descritto dai media. Militari, giornalisti, ordini da rispettare o meno e poi il popolo, i cittadini, da una parte e dall’altra vittime, comunque, in ogni caso. Maurizio D. Capuano imposta il proprio racconto cercando di mostrare al pubblico l’autentico volto di una guerra che sembra ormai aver smarrito ogni possibile motivazione. La posizione, il punto di vista, fa parte del racconto stresso che si impone di scardinare il muro di ipocrisia che protegge e lascia impuniti i carnefici, di toccare l’aspetto più umano del conflitto, quello che riguarda i cittadini, quello che mostra le vittime, inermi da una parte e dall’altra. I numeri dei morti, i numeri di quanti subiscono il perverso gioco di potere, il pallottoliere cupo e grigio che nutre ogni conseguente estremistica presa di posizione. Il peso, sbilanciato delle stesse vittime, le vita, le famiglie spezzate dalle armi.
E poi l’odio, reale, concreto, tra le due parte. Un sentimento che arriva da lontano, coltivato negli anni, subdolamente ammesso nelle scuole. Maurizio D. Capuano, sottopone al pubblico la sua storia, la sua immagine di una insensata e infinita faida pilotata troppe volte dall’alto. L’aspetto comico, dello stesso racconto esalta la tragedia, sdogana l’innaturale tragedia, rendendola quasi abitudine, un ritornello già sentito più volte, con gli stessi protagonisti e lo stesso identico epilogo. La risposta del pubblico è altrettanto potente, gli applausi, spesso commossi per diversi minuti sovrastano ogni cosa. Il messaggio, netto, sfrontato, infinitamente umano alla fine è arrivato. Gli orrori e le atrocità del passato non possono giustificare il presente. La guerra è un male, sempre e comunque. L’odio, se coltivato, può fare più male delle stesse armi. Restare in silenzio, fingere che il tutto non riguardi ogni singolo cittadino del pianeta è forse la più grande delle atrocità.