Le “ragazze sole” di Enzo Moscato, incontrano Francesco Saponaro al Teatro San Ferdinando di Napoli

 

 

 

Si apre il sipario, sul palco, “Bolero Film” e poi “Grand Hotel”, questa volta due donne, niente uomini travestiti, niente Annibale Ruccello ed Enzo Moscato, abilmente travestiti, come la prima volta in scena, nel 1985. Veronica Mazza e Lara Sansone, le protagoniste odierne, che con estrema versatilità si spogliano dell’essere femminile per diventare uomini e poi di nuovo, donne; o meglio, trans, femminielli, “femmene sbagliate”. Francesco Saponaro prende in prestito il testo di Moscato, trasformando e reinterpretando ruoli e ambientazioni. Le vicende prendono vita in un appartamento dei Quartieri Spagnoli, nel quale il terremoto dell’80 fa da protagonista e le due – se vogliamo prendere in considerazione il loro aspetto e non la loro natura biologica – accolgono i clienti e vivono la loro quotidianità, fondendo il proprio essere con il ruolo sociale che ricoprono. Un giornale, “Cronaca emarginata” fa da galeotto all’incontro delle due “ragazze sole con qualche esperienza” con Gennarino Scialò (Salvatore Striano) e Gennaro Cicala (Carmine Paternoster), due uomini che come loro – almeno apparentemente – cercano l’amore dal carcere di Poggioreale, un incontro che dovrebbe trasformare la relazione epistolare in una convivenza more uxorio. Due atti di contrasti, ossimori, antipodi che esistono, coesistono, si scontrano e incontrano: due coppie di emarginati che perdono di empatia non solo gli uni con gli altri ma nella loro stessa categoria. Non prostituzione e basta, non detenzione e basta. Il testo descrive l’altra faccia della medaglia, la peculiarità degli schemi sociali che abitualmente chiudiamo in etichette, concetti, stereotipi. E dopo aver descritto, sviscera e distrugge temi come l’identità sessuale e la criminalità organizzata, accostandoli e distaccandoli continuamente dal contesto napoletano e dal surreale, fino alla rottura della quarta parete con il monologo di Cicala che con un “signori, io vi dico, scetateve, scetateve” invita ad una riflessione sull’ancora troppo attuale condizione sociale che riduce gli emarginati alla sola possibilità dell’ emarginazione.

 

di Alessia Avellino